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La scultura è l'arte di dare forma ad un oggetto partendo da un materiale grezzo o assemblando tra loro differenti materiali. È detto scultura anche il prodotto finale, ovvero qualsiasi oggetto tridimensionale ottenuto come espressione di ispirazione artistica, come molti altri termini riguardanti il mondo dell'arte anche il concetto di scultura si è evoluto nel tempo.

È possibile modellare un oggetto per addizione o sottrazione, e questo dipende dal tipo di materiale usato:

  • nel caso di legno o marmo, ad esempio, si sottrae, cioè si scolpisce intagliando, incidendo o asportando con uno strumento idoneo parte della materia;
  • quando invece si utilizza argilla o un materiale simile, si opera per addizione, aggiungendo man mano materia a quella iniziale. Similmente quando si saldano parti inizialmente divise, come strutture metalliche unite con un processo di saldatura o materiali diversi uniti grazie a collanti.
  • Nella scultura in argilla, il processo di indurimento del materiale avviene per cottura in fornace. Tale processo rende l’argilla “cotta”, divenendo quindi il manufatto “Terracotta”. Essa assume diverse colorazioni a seconda della temperatura di cottura, che vanno dal grigio al salmone/ arancio fino al marrone. La scultura in terracotta, nella fase pre-cottura infine dopo la modellatura si svuota con un procedimento di scavatura che avviene quando ancora la materia è modellabile.

Per un artista, la scelta del materiale con cui realizzare un'opera, deriva dalla tecnica che intende adoperare.

Lo scrittore Plinio il Vecchio divide l'arte plastica in fusoriaplastica e sculptura.

L'arte fusoria consiste nel fondere i metalli, l'arte plastica invece propone di modellare materiali malleabili, infine la sculptura si riferisce all'intaglio della pietra o dei materiali duri.

Le tecniche scultoree si dividono in due tipi:

  • tecniche dirette
  • tecniche indirette

Le tecniche dirette si riferiscono a:

Le tecniche indirette si riferiscono invece a:

  • copia in pietra con l'uso del pantografo
  • copia in cartapesta, creta, gesso, cemento ecc.
  • fusione a cera persa
  • creazione di opere con stampanti 3d, a partire da uno scan tridimensionale o da un progetto digitale.

Materiali tradizionali

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David di Michelangelo, probabilmente la più conosciuta scultura, (Galleria dell'Accademia).

I materiali tradizionalmente usati nella scultura sono:

Materiali moderni

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Particolare di una scultura in marmo di età romana

Nell'arte moderna si possono ottenere oggetti tridimensionali, quindi in senso lato "scultorei", anche attraverso una serie di materiali assemblati tra i più svariati (prelievo), e anche attrevarso elementi concettuali. Tra i materiali utilizzati dall'arte moderna si trovano:

Alcune forme della scultura sono:

Il surrealismo descriveva come "scultura involontaria" quella fatta quando si manipola qualcosa senza pensarci, ad esempio quando si piega una graffetta fermacarte o si arrotola un biglietto del cinema.

  1. ^ Isman, p. 81.

Bibliografia

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Voci correlate

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  • Storia della scultura
  • Tutto tondo

    Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
     
     
     
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    Il tutto tondo è una tecnica scultorea che consiste nello scolpire una figura tridimensionale isolata nello spazio e che non presenta alcun piano di fondo; le sculture realizzate con questa tecnica sono chiamate rilievi totali o semplicemente sculture a tutto tondo.[1]

    Esempio di scultura a tutto tondo sono le statue poiché sviluppate in modo che si possano osservare da molti punti di vista, anche se alcuni artisti privilegiano un particolare punto di vista.[1]

    Uno tra i più grandi scultori classici di opere a tutto tondo fu Fidia.

     

    Rilievo (scultura)

    Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
     
     
     
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    Veduta laterale del bronzo dorato fuso dei "Cancelli del Paradiso" di Lorenzo Ghiberti nel Battistero di San Giovanni a Firenze (Italia), che combina le figure principali in altorilievo con sfondi per la maggior parte in bassorilievo.

    Il rilievo o toreuma è un metodo della scultura dove gli elementi scolpiti rimangono attaccati a un fondo solido dello stesso materiale. Il termine rilievo viene da rilevare, a sua volta derivato dal latino relevare, "sollevare". Creare una scultura in rilievo vuol dire infatti dare l'impressione che il materiale scolpito sia stato sollevato sopra il piano di sfondo.[1] Ciò che si esegue effettivamente quando un rilievo è intagliato da una superficie piatta di pietra (scultura in rilievo) o di legno (intaglio in rilievo) è un abbassamento del campo, lasciando le parti non scolpite apparentemente sollevate. La tecnica implica una notevole asportazione mediante cesellatura dello sfondo, che è un esercizio che richiede molto tempo. D'altro canto, un rilievo evita di dover formare la parte posteriore di un soggetto, ed è meno fragile e fissato più saldamente di una scultura a tutto tondo, specialmente quella di una figura in piedi nella quale le caviglie sono un potenziale punto debole, soprattutto per la pietra. In altri materiali come il metallo, l'argilla, lo stucco di gesso, la ceramica o la cartapesta, la forma può essere semplicemente aggiunta o sollevata dallo sfondo, mentre i rilievi monumentali in bronzo sono fatti mediante fusione.

    Ci sono diversi gradi di rilievo secondo il grado di aggetto della forma scolpita dal campo, per il quale in italiano e in francese si usano termini specifici, a volte ripresi anche in altre lingue (ad es. l'inglese). La gamma completa include altorilievo (haut-relief),[2] in cui si mostra più del 50% della profondità e possono esserci aree sottoscavate, mezzorilievo (mi-relief), bassorilievo (bas-relief) e rilievo schiacciato,[3] dove il piano è solo leggermente più basso degli elementi scolpiti. C'è anche il rilievo affondato, che era limitato principalmente all'Antico Egitto (vedi sotto). Tuttavia, la distinzione tra altorilievo e bassorilievo è la più chiara e la più importante, e questi due sono generalmente i soli termini usati per discutere la maggior parte delle opere.

    La definizione di questi termini è alquanto variabile, e molte opere combinano aree con più di una tecnica, a volte scivolando fra di esse in un'unica figura; di conseguenza alcuni autori preferiscono evitare tutte le distinzioni.[4] L'opposto della scultura in rilievo è il controrilievo, l'intaglio o il rilievo cavo,[5] in cui la forma è scavata nel campo o fondo sollevata da esso; questo è molto raro nella scultura monumentale. In italiano, i termini presentano quasi sempre una grafia "univerbata", ossia accorpata in un'unica parola (ad esempio "altorilievo" anziché, erroneamente, "alto rilievo"[6]), ma in alcuni casi sono ammesse anche le forme distinte (ad esempio "mezzorilievo" o, meno comunemente, "mezzo rilievo"[7]). Le opere con questa tecnica sono descritte come "in rilievo" e, specialmente nella scultura monumentale, l'opera stessa è "un rilievo".

    Una facciata dell'altorilievo del Fregio del Parnaso intorno alla base dell'Albert Memorial a Londra. La maggior parte delle teste e molti piedi sono completamente sottoscavati, ma i torsi sono "impegnati" con la superficie dietro.

    I rilievi sono comuni in tutto il mondo sui muri degli edifici e in una varietà di ambienti più piccoli, e una sequenza di parecchi pannelli o sezioni del rilievo può rappresentare una narrazione estesa. Il rilievo è più adatto per raffigurare soggetti con molte figure e pose molto attive, come le battaglie, della "scultura a tutto tondo" a sé stante. Molti antichi rilievi architettonici originariamente erano dipinti, il che aiutava a definite le forme in bassorilievo. Per convenienza in questa voce si assume che il soggetto dei rilievi siano solitamente figure, ma la scultura in rilievo spesso raffigura modelli decorativi geometrici o a fogliame, come negli arabeschi dell'arte islamica, e può avere qualunque soggetto.

    Una mescolanza comune di alto e bassorilievo, nell'Ara Pacis romana, posta in modo da essere vista dal basso. Bassorilievo ornamentale in fondo.

    rilievi nella roccia (o rilievi rupestri) sono quelli scolpiti nella solida roccia all'aperto (se all'interno di grotte, sia naturali che fatte dall'uomo, è più probabile che siano detti "scavati nella roccia"). Questo tipo si trova in molte culture, in particolare quelle del Vicino Oriente antico e dei paesi buddhisti. Una stele è un'unica pietra eretta; molte di queste presentano rilievi.

    La distinzione tra alto e bassorilievo è alquanto soggettiva, e le due tecniche vengono molto spesso combinate in una stessa opera. In particolare, la maggior parte degli "altorilievi" posteriori contengono sezioni in bassorilievo, di solito sul fondo. Dal Fregio del Partenone in poi, molte figure singole della grande scultura monumentale hanno teste in altorilievo, ma la parte inferiore delle loro gambe è in bassorilievo. Le figure leggermente aggettanti create in questo modo funzionano bene nei rilievi che si vedono dal basso, e riflettono il fatto che le teste delle figure hanno di solito maggiore interesse sia per l'artista che per lo spettatore delle gambe o dei piedi. Come mostrano gli esempi incompleti di vari periodi, i rilievi, sia alti che bassi, erano normalmente "scontornati" segnando il profilo della figura e riducendo le aree di fondo al nuovo livello, lavoro senza dubbio svolto da apprendisti (vedi galleria).

     

    Bassorilievo

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    Bassoriievo su sesterzio romano, 238 d.C.
    Lo stesso argomento in dettaglio: Bassorilievo.

    Un bassorilievo è un'immagine sporgente con una bassa profondità complessiva, usata ad esempio sulle monete, sulle quali tutte le immagini sono in bassorilievo. Nei rilievi più bassi la profondità relativa degli elementi è completamente distorta, e se vista di lato l'immagine non ha senso, ma dal davanti le piccole variazioni di profondità la registrano come un'immagine tridimensionale. Altre versioni distorcono molto meno la profondità. È una tecnica che richiede meno lavoro, ed è perciò più economica da produrre, in quanto una parte minore del fondo deve essere rimossa con l'intaglio, o serve un minore modellamento. Nell'arte egizia, nei rilievi dei palazzi assiri e in altre antiche culture del Vicino Oriente e dell'Asia, come pure della Mesoamerica, si usava comunemente per l'intera composizione un rilievo continuo e molto basso. Queste immagini venivano solitamente dipinte dopo l'intaglio, il che aiutava a definire le forme; oggi la pittura si è cancellata nella grande maggioranza degli esempi sopravvissuti, ma rimangono minuti, invisibili resti di pittura che possono di solito essere scoperti attraverso mezzi chimici.

    Bassorilievo persiano a Persepoli – un simbolo dello zoroastriano Nowruz – all'equinozio di primavera il potere del toro (che personifica la Terra) e del leone (che personifica il Sole) sono uguali.

    La Porta di Ishtar di Babilonia, ora a Berlino, ha bassorilievi di grandi animali formati da mattoni modellati, con colore vetrificato. L'intonaco, che rendeva la tecnica di gran lunga più semplice, era ampiamente usato in Egitto e nel Vicino Oriente dall'antichità fino ai tempi islamici (recentemente per la decorazione architettonica), come all'Alhambra), a Roma e in Europa almeno dal Rinascimento, nonché probabilmente altrove. Tuttavia, l'intonaco ha bisogno di ottime condizioni per sopravvivere a lungo in edifici privi di manutenzione – l'intonacatura decorativa romana è nota principalmente da Pompei e da altri siti sepolti dalla cenere del Vesuvio. Il bassorilievo era relativamente raro nell'arte medievale occidentale, ma si può trovare, per esempio, nelle figure di legno o nelle scene sulla parte interna delle ante pieghevoli delle pale d'altare formate da più pannelli (polittici).

    La riscoperta del bassorilievo, che era visto come uno stile classico, comincia all'inizio del Rinascimento; il Tempio Malatestiano a Rimini, un pionieristico edificio classicista, progettato da Leon Battista Alberti intorno al 1450, usa i bassorilievi di Agostino di Duccio dentro e sui muri esterni. A partire dal Rinascimento l'intonaco è stato usato molto ampiamente per lavori ornamentali interni come cornici e soffitti, ma nel XVI secolo fu usato per grandi figure (molte delle quali usavano anche l'altorilievo) nel Castello di Fontainebleau, che furono imitate più rozzamente altrove, ad esempio nell'elisabettiana Hardwick Hall.

    Il rilievo schiacciato (o stiacciato) è un rilievo molto poco profondo, che in alcuni punti si fonde con l'incisione e può a malapena essere letto nelle fotografie. Si usa spesso per le aree di fondo di composizioni con gli elementi principali in bassorilievo, ma il suo su un pezzo intero (di solito piuttosto piccolo) fu perfezionato dallo scultore rinascimentale italiano Donatello.[8]

    Nell'arte occidentale successiva, fino a una riscoperta del XX secolo, il bassorilievo fu usato per la maggior parte per opere più piccole o combinato con il rilievo più alto per trasmettere un senso di distanza, o per dare profondità alla composizione, specialmente per scene con molte figure e un paesaggio o uno sfondo architettonico, nello stesso modo in cui i colori più chiari si usano per lo stesso scopo nella pittura. Così le figure in primo piano sono scolpite in altorilievo, quelle sul fondo in bassorilievo. Il bassorilievo può usare qualunque mezzo o tecnica di scultura, la scultura su pietra e la fusione in metallo essendo le più comuni. Le grandi composizioni architettoniche tutte in basorilievo videro una rinascita nel XX secolo, essendo popolari sugli edifici dell'Art déco e dei relativi stili, che prendevano a prestito dagli antichi bassorilievi ora disponibili nei musei.[9] Alcuni scultori, incluso Eric Gill, hanno adottato la profondità "schiacciata" del bassorilievo in opere che sono effettivamente a sé stanti.

    Mezzorilievo

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    Bassorilievo, Banteay SreiCambogiaRāvaṇa scuote il Monte Kailash, la dimora di Siva.

    Il mezzorilievo è definito in modo alquanto impreciso, e in altre lingue come l'inglese il termine non si usa spesso, essendo invece le opere descritte solitamente come bassorilievo. La definizione tradizionale tipica è che il soggetto sporge solo fino alla metà, e nessun elemento è sottoscavato o completamente svincolato dal campo di fondo. La profondità degli elementi mostrati normalmente è alquanto distorta.

    Il mezzorilievo è probabilmente il tipo più comune di rilievo che si trova nell'arte indù e buddhista dell'India e del Sud-est asiatico. I rilievi da basso a medio delle Grotte di Ajanta dal II secolo a.C. al VI secolo d.C. e delle Grotte di Ellora dal V al X secolo in India sono sculture nella roccia. La maggior parte di questi rilievi sono usati per narrare le sacre scritture, come i 1.460 pannelli del tempio di Borobudur del IX secolo a Giava Centrale (Indonesia), che narrano i Jātaka o vite anteriori del Buddha. Altri esempi sono i bassorilievi nel tempio di Prambanan, sempre a Giava, che narrano l'epica induista del Rāmāyaṇa, nei templi di Angkor, in Cambogia, con scene che includono il Samudra manthana o "Zangolatura dell'oceano di latte" presso l'Angkor Wat del XII secolo, e i rilievi delle apsaras. Nel tempio di Bayon ad Angkor Thom ci sono scene di vita quotidiana dell'Impero Khmer.

    Altorilievo

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    Metopa in altorilievo dai Marmi greco-classici di Elgin. Alcune membra anteriori sono in realtà completamente staccate dal fondo, mentre la zampa posteriore sinistra del centauro è in bassorilievo.
    Lo stesso argomento in dettaglio: Altorilievo.

    L'altorilievo è dove, in generale, più di metà della massa della figura scolpita sporge dal fondo: in effetti gli elementi più importanti della composizione, specialmente le teste e le membra, sono spesso completamente sottoscavati, staccandoli dal campo. Le parti del soggetto che sono visibili sono raffigurate normalmente in tutta la loro profondità, diversamente dal bassorilievo dove gli elementi visibili sono "schiacciati" in modo più piatto. L'altorilievo così usa essenzialmente lo stesso stile e le stesse tecniche della scultura a sé stante, e nel caso di una figura singola offre in gran parte la stessa veduta che avrebbe una persona che si trovasse in piedi direttamente di fronte a una statua a sé stante. Tutte le culture e tutti i periodi in cui furono create grandi sculture usarono questa tecnica nella scultura e nell'architettura monumentale.

    La maggior parte delle grandiose figure in rilievo dell'antica scultura greca usava una versione molto "alta" dell'altorilievo, con elementi spesso completamente liberi dal fondo, e parti di figure che si incrociavano l'una sull'altra per indicare la profondità. Le metope del Partenone hanno perso in gran parte i loro elementi a tutto tondo, tranne le teste, mostrando i vantaggi del rilievo in termini di durabilità. L'altorilievo è rimasto la forma dominante per i rilievi con figure nella scultura occidentale, essendo comune anche nella scultura dei templi indiani. Le sculture greche più piccole come le tombe private, e le aree decorative di dimensioni minori come i fregi sui grandi edifici, usavano più spesso il bassorilievo.

    Divinità in altorilievo a Khajuraho (India).

    I rilievi sui sarcofagi ellenistici e romani erano intagliati con un trapano piuttosto che con degli scalpelli, permettendo e incoraggiando composizioni estremamente affollate di figure, come nel Sarcofago Grande Ludovisi (250–260 d.C.). Queste si vedono anche nelle enormi strisce di rilievi che si attorcigliano intorno alle colonne trionfali romane. I sarcofagi in particolare esercitarono un'enorme influenza sulla scultura occidentale posteriore. Il Medioevo europeo tese ad utilizzare l'altorilievo in pietra per tutti gli scopi, benché come l'antica scultura romana i suoi rilievi non fossero tipicamente così alti come nell'antica Grecia.[10] Il rilievo molto alto riemerse nel Rinascimento, e fu usato specialmente nell'arte funeraria a muro e in seguito sui frontoni neoclassici e sui monumenti pubblici.

    Nell'arte buddhista e induista dell'India e del Sud-est asiatico si può trovare l'altorilievo, anche se non è così comune come i basso-mezzorilievi. Esempi famosi di altorilievi indiani si possono trovare nei templi di Khajuraho, con le loro voluttuose figure intrecciate che spesso descrivono le posizioni erotiche del Kamasutra. Nel tempio di Prambanan nel IX secolo, a Giava Centrale, ci sono gli altorilievi dei devata del Lokapāla, i guardiani delle divinità e di tutte le direzioni.

    Rilievo affondato

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    Una raffigurazione in rilievo affondato del faraone Akhenaton con sua moglie Nefertiti e le sue figlie. Il fondo principale non è stato rimosso, soltanto quello nelle immediate vicinanze della forma scolpita. Si noti quanto forti occorrono le ombre per definire l'immagine.

    Il rilievo affondato o rilievo scavato è ristretto in gran parte all'arte dell'antico Egitto in cui è molto comune, divenendo dopo il periodo amarniano il tipo dominante usato, in contrapposizione al bassorilievo. Era stato usato in precedenza, ma principalmente per grandi rilievi sui muri esterni, e per geroglifici e cartiglio. L'immagine è fatta intagliando la stessa scultura in rilievo in una superficie piatta. In una forma più semplice le immagini sono di solito di natura per lo più lineare, come i geroglifici, ma nella maggior parte dei casi la figura stessa è in bassorilievo, ma posta all'interno di un'area affondata sagomata intorno all'immagine, cosicché il rilievo non sale mai oltre l'originale superficie piatta. In alcuni casi le figure e gli altri elementi sono in un bassissimo rilievo che non sale alla superficie originale, ma altri rilievi sono modellati in modo più completo, con alcune aree che salgono alla superficie originale. Questo metodo minimizza il lavoro di rimozione del fondo, pur consentendo il normale modellamento del rilievo.

    La tecnica ha molto successo con la forte luce solare per enfatizzare i contorni e le forme mediante l'ombra, poiché non veniva fatto alcun tentativo per ammorbidire i bordi dell'area affondata, lasciando tutt'intorno ad essa una faccia ad angolo retto con la superficie. Alcuni rilievi, specialmente i monumenti funerari con teste o busti dell'antica Roma e della successiva arte occidentale, lasciano una "cornice" al livello originario intorno al bordo del rilievo, o pongono una testa in una rientranza semisferica nel blocco (vedi esempio romano nella galleria). Benché essenzialmente molto simile al rilievo affondato egizio, ma con uno spazio di fondo al livello inferiore intorno alla figura, il termine non si userebbe normalmente per tali opere.

    Controrilievo

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    La tecnica del rilievo affondato non deve essere confusa con il controrilievo o intaglio come si vede dai sigilli di gemme incise in cui un'immagine è modellata completamente in forma "negativa". L'immagine va in superficie, cosicché quando è impressa sulla cera dà un'impressione di rilievo normale. Tuttavia molte gemme incise furono scolpite come cammei o rilievi normali.

    Alcune sculture monumentali ellenistiche molto tarde usano il modellamento "negativo" completo come sul sigillo di una gemma, forse perché gli scultori formati nella tradizione greca tentarono di usare le convenzioni tradizionali egizie.[11]

    Piccoli oggetti

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    Dittico gotico francese, alto 25 cm, con scene affollate della Vita di Cristo, c. 1350–1365.

    Rilievi su piccola scala sono stati spesso scolpiti in vari materiali, particolarmente avorio, legno e cera. Tali rilievi si trovano spesso nelle arti decorative come la ceramica e la metallurgia; queste sculture, tuttavia, sono descritte solitamente come "in rilievo" piuttosto che come "rilievi". Ad esempio, i piccoli rilievi in bronzo hanno spesso la forma di "placche" o placchette, che possono essere incassate in mobili o incorniciate, o semplicemente tenute come sono, una forma popolare tra i collezionisti europei, specialmente nel Rinascimento.

    Piccolo rilievo di Gesù e dei suoi apostoli fatto di gesso.

    Si usano varie tecniche di modellamento, come lo sbalzo nella metallurgia, dove una sottile lastra di metallo è sagomata da dietro usando vari punzoni di metallo o di legno, producendo un'immagine in rilievo. Anche la colata è stata ampiamente usata per il bronzo e altri metalli. Colata e sbalzo si usano spesso di concerto per velocizzare la produzione e aggiungere maggiori dettagli al rilievo finale. Nella pietra, come pure nelle gemme incise (glittica), le sculture più grandi in pietre dure semipreziose sono state estremamente prestigiose fin dai tempi antichi in molte culture eurasiatiche. I rilievi in cera furono prodotti almeno dal Rinascimento.

    I rilievi in avorio scolpito si usano fin dai tempi antichi, e poiché il materiale, anche se costoso, non può di solito essere riutilizzato, hanno un tasso di sopravvivenza relativamente alto: ad esempio, i dittici consolari rappresentano una grande proporzione delle sopravvivenze dell'arte secolare portatile della tarda antichità. Nel periodo gotico la scultura dei rilievi in avorio divenne una notevole industria di lusso a Parigi e altri centri. Furono prodotti inoltre piccoli dittici e trittici con scene religiose densamente stipate, di solito dal Nuovo Testamento, nonché oggetti secolari, di solito in rilievo più basso.

    Questi ultimi erano spesso astucci con specchi rotondi, pettini, manici e altri piccoli elementi, ma includevano alcuni scrigni più grandi come lo Scrigno con scene d'amore (Walters 71264) a Baltimora (Maryland), negli Stati Uniti. Originariamente essi erano molto spesso dipinti con colori vivaci. I rilievi possono essere impressi mediante stampi sull'argilla, o l'argilla pressata in una sagoma che contiene il modello, come era abituale con la terra sigillata prodotta in serie dell'antica ceramica romana. I rilievi decorativi in gesso o stucco possono essere molto più grandi; questa forma di decorazione architettonica si trova in molti stili di interni nell'Occidente post-rinascimentale e nell'architettura islamica.

    Galleria d'immagini

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    Categoria:Sculture a tecnica mista

     
     
     
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    • La Zingarella (scultura)
    • La scultura architettonica è l'insieme di tecniche scultoree finalizzate alla decorazione di un edificio.[1] Sebbene le sculture di questo tipo siano spesso integrate nella struttura,[1] non mancano esempi di opere autoportanti che fanno parte del progetto originale. Pertanto, quello di "scultura architettonica" è un concetto strettamente legato a quello di "scultura monumentale".[2]
    • Capitello
    • Cariatide
    • Chimera
    • Fregio
    • Frontone
    • Gargolla
    • Modiglione
    • Scultura greca

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      PrassiteleHermes con Dioniso, metà del IV secolo a.C. circa

      La scultura è probabilmente l'aspetto più conosciuto dell'arte greca. Ciò è dovuto al maggior numero dei reperti archeologici pervenuti ad oggi rispetto, ad esempio, a quelli della pittura che ha una minore resistenza dei materiali impiegati. Tuttavia, solo una piccola parte della produzione scultorea greca è giunta fino a noi. Molti dei capolavori descritti dalla letteratura antica sono ormai perduti, gravemente mutilati, o ci sono noti solo tramite copie di epoca romana. A partire dal Rinascimento, molte sculture sono inoltre state restaurate da artisti moderni, a volte alterando l'aspetto e il significato dell'opera originale.

      Uso, tecniche e materiali

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      Scultura monumentale

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      L'arte in Grecia era prevalentemente collegata alle esigenze del culto, almeno nei tempi più antichi, e così anche la scultura, benché non mancassero monumenti commemorativi per le vittorie in battaglia ad esempio. Le grandi realizzazioni artistiche avvenivano per commissione da parte della comunità religiosa o statale, tuttavia in Grecia il privato cittadino, che concepiva l'arte come offerta in onore degli dei o dei defunti, poteva investire le proprie pur modeste risorse per dedicare opere nei santuari mentre nelle civiltà orientali l'iniziativa dei privati nel campo dell'arte rimase del tutto sconosciuta. Le statue testimoniavano della continua presenza del devoto, benché slegate da ogni riferimento personale restando concepite secondo una tipologia astratta, quella del kouros o della kore.[1] I temi erano gli stessi che venivano svolti nelle altre arti, la figura umana, il mito e le scene di vita quotidiana mentre la rappresentazione delle battaglie storiche avveniva in prevalenza tramite i racconti mitici e solo raramente in modo diretto, come invece avveniva presso egizi ed assiri. I materiali più usati erano la pietra (marmo o calcare), il bronzo, il legno, la terracotta, ecc.

      Nei periodi più antichi le sculture in pietra erano eseguite con la diretta scalpellatura; gli strumenti impiegati erano la subbia, il trapano e i vari scalpelli, tutti azionati con la mazzuola. Il trasporto dei blocchi di pietra era problematico e dispendioso quindi le statue monumentali erano tagliate nella loro forma approssimativa nelle cave dove venivano abbandonate se mostravano rischi di frattura e dove sono rimaste fino ai nostri giorni.[2] Teste e braccia, se non aderivano al corpo, erano scolpite separatamente e unite in seguito con cavicchi di metallo e cunei di pietra, di solito annegati nel piombo fuso, mentre i pezzi più piccoli potevano essere attaccati con cemento. Queste sculture erano sempre dipinte essendo il colore un aspetto della realtà fenomenica come ogni altro e oltre ad essere colorate le statue erano impreziosite con l'aggiunta di accessori di diverso materiale: si inserivano occhi di pietra colorata, pasta vitrea o avorio; riccioli di metallo, diademi, orecchini e collane; lance, spade, redini e briglie; materiale per lo più perduto e di cui resta traccia nei fori di sostegno.

      Con l'aumento delle dimensioni delle opere, durante il VII secolo a.C., le statue bronzee cominciarono ad essere prodotte con la tecnica della fusione cava che fin da tempi antichissimi era stata praticata in Egitto e che si diffuse nel corso del VI secolo a.C. Furono usate sia la tecnica a cera persa sia quella a matrice insabbiata. In quest'ultimo procedimento la figura era di solito realizzata in sezioni, il modello era di legno invece che di cera e veniva affondato in un recipiente colmo di sabbia umida dove lasciava l'impronta per la fusione. Contrariamente a quanto avveniva per la statuaria in pietra, ai bronzi veniva lasciato il colore naturale, ma come si è visto, illuminato coloristicamente da inserti in altro materiale.

      Statue in terracotta e rilievi di grande dimensione sono stati trovati a Cipro, in Etruria, in Sicilia e nell'Italia meridionale dove il marmo era scarso. Nel periodo più antico le statue di terracotta erano formate con rotoli di argilla a formare le pareti esterne; per prevenire la deformazione e il restringimento durante la cottura, l'argilla era unita a sabbia e a pezzi di argilla cotta. In epoca ellenistica e romana fu più comune l'uso dello stampo.

      Soltanto a metà del XX secolo ritrovamenti archeologici hanno svelato il procedimento della tecnica crisoelefantina.

      Piccola plastica e "arti minori"

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      Corinto, due fanciulle che giocano a Ephedrismos, fine IV-inizio III sec. ac., terracotta

      Per gli oggetti d'arte di piccole dimensioni i greci usarono, oltre ai materiali già citati, avorio, osso, oro, argento; molti degli oggetti che ci sono giunti isolati e scollegati erano in origine parti decorative di tripodi, vasi, specchi ed altri utensili e in questi casi presentano solitamente dei fori attraverso cui venivano collegati agli oggetti a cui appartenevano; altre volte erano offerte nei santuari e potevano presentare ganci per essere appesi. Molte statuette ci sono giunte poiché venivano ammassate nei fossati di scarico nei santuari, probabilmente per far posto a nuovi ex voto, dove sono rimaste seppellite sino ai nostri giorni.

      Gli oggetti di metallo di piccole dimensioni venivano ottenuti per lo più tramite fusione solida, meno laboriosa di quella cava. Le statuette erano fuse insieme alle proprie basi o avevano perni in fondo alle gambe che permettevano di inserirle nelle basi corrispondenti. Il metallo preferito dai greci per la fabbricazione di oggetti decorativi era il bronzo in differenti leghe, seguito dall'argento e dall'oro. Negli inventari dei templi greci, i vasi e gli utensili di argento e bronzo appaiono costantemente catalogati, ma gli oggetti più preziosi divenivano ovviamente bottino di guerra e non sono giunti sino a noi. Gli scavi nei santuari hanno restituito soprattutto armature, parti di finimenti e arredi domestici vari, con motivi decorativi a sbalzo, graffiti o a tutto tondo. Le tecniche usate erano diverse: nel repoussé o sbalzo un foglio di metallo posto su un fondo di bitume solido era ribattuto sia nel diritto sia nel rovescio, nella martellatura il foglio di metallo veniva battuto dal rovescio in uno stampo in cui era scavato il modello, nella punzonatura la figura del conio era pressata direttamente sul metallo. Le incisioni avvenivano con strumenti di varia forma a seconda del disegno che si desiderava ottenere; era usato anche l'intarsio con pietre colorate, vetro, avorio, o altri metalli sempre allo scopo di ottenere effetti di policromia.

      Nella antica Grecia le gemme incise venivano usate dai ceti abbienti come sigilli o segni di identificazione, a volte anche ufficialmente per cui il loro uso può essere menzionato nelle iscrizioni. Negli elenchi dei tesori dei templi del V e del IV secolo a.C., per esempio del Partenone, le gemme sono ricordate tra le offerte votive.

      Il materiale preferito dai greci per la produzione dei gioielli era l'oro, ricavato dai greti dei fiumi dell'Asia Minore, della Tracia e della Russia. Le possibilità di lavorazione erano molte: modellazione, fusione, repoussé, incisione, granulazionefiligranaagemina e cesello, tecniche apprese probabilmente dai gioiellieri dell'Egitto e della Mesopotamia. Anche l'argento venne largamente utilizzato e l'elettro, una lega naturale di oro e argento assai usata nella gioielleria dell'epoca arcaica. Materiali meno preziosi come bronzo, ferro, piombo e terracotta venivano usati per anelli e braccialetti posti nelle tombe in sostituzione degli oggetti preziosi. Fonti primarie sono ovviamente i pezzi trovati nelle tombe e nei santuari, ma hanno fornito altri utili particolari le iscrizioni, come gli inventari dei templi o gli atti sacerdotali che sono riaffiorati dagli scavi; era infatti consuetudine rituale offrire agli dei ornamenti preziosi e oggetti in oro e argento anche quando, in tempi relativamente poveri come nella Grecia continentale dell'epoca arcaica, simili oggetti non venivano indossati. Inoltre nell'antichità i templi servivano spesso da tesori e vi erano custoditi oggetti preziosi che potevano essere fusi in epoche di emergenza. Analogamente agli altri settori dell'arte, anche i gioielli greci mutano attraverso i vari periodi: dapprima le figure antropomorfe e zoomorfe compaiono in forma schematizzata, poi secondo tipi convenzionali, infine in modo maggiormente naturalistico; allo stesso modo variano le composizioni che da semplici assumono col tempo maggiore complessità.[3]

      Statuetta di cavallo (Olimpia), 740 a.C., bronzo, h 8,7 cm, Museo del Louvre Br 86.
      Statuetta campaniforme (Tebe), VII secolo a.C., terracotta, h 39,5 cm, Museo del Louvre CA 573.

      Tradizionalmente si distinguono nella scultura greca cinque periodi:

      1. il periodo dedalico (VII secolo a.C.)
      2. il periodo arcaico (VI secolo a.C., fino al 480 a.C., distruzione da parte dei Persiani delle mura dell'Acropoli di Atene)
      3. il periodo severo (480-450 a.C. circa), rappresentato da scultori quali Mirone
      4. il periodo classico (V secolo a.C., fino al 323 a.C., morte di Alessandro Magno), rappresentato da PolicletoFidiaPrassiteleSkopas e Lisippo
      5. il periodo ellenistico (dalla morte di Alessandro Magno nel 323 a.C. alla conquista romana del 146 a.C.)

      La scultura presenta caratterizzazioni regionali progressivamente meno accentuate: benché realizzate soprattutto nella Grecia continentale, le opere arcaiche e soprattutto classiche si sono ampiamente diffuse per le vie del commercio marittimo nei secoli successivi. In epoca ellenistica le opere sono invece spesso prodotte ed utilizzate localmente, con la creazione di diverse scuole regionali.

      Le origini

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      Della plastica che risale all'arte geometrica ci restano statuette in bronzo a fusione solida che rappresentano figure umane o animali (cavalli, buoi, cervi, uccelli, ecc.). Appartengono all'VIII secolo a.C. le figure in azione, i gruppi, i guerrieri all'assalto e gli aurighi, ma anche le figure di suonatori e di artigiani.[4] Un discreto numero di bronzetti che ripropongono la tipologia del guerriero, a volte a cavallo o su carro da guerra, proviene dal santuario di Olimpia ed è oggi conservato al Museo archeologico locale. Al Metropolitan Museum of Art di New York si trova invece un gruppo bronzeo (metà dell'VIII secolo a.C., h 11 cm) per il quale è stata proposta la lettura di una lotta tra Zeus e un Titano (il gruppo comprende una figura umana e una figura metà uomo e metà cavallo): la commistione delle nature starebbe già in quest'epoca ad indicare i primigeni nemici degli dei e dell'ordine.[5] Nei Musei Statali di Berlino si trova un cavallo, sempre appartenente all'VIII secolo a.C., che in particolar modo, tra tanti altri esempi simili, mostra il raggiungimento di una struttura quasi organica ma del tutto arbitraria rispetto alla reale morfologia equina: forme arrotondate delle membra, corpo filiforme e giunture aguzze.[6] Tra le opere di maggiore importanza un bronzetto rappresentante Apollo o Ares proveniente dall'Acropoli di Atene (altezza 20 cm, conservato nel Museo archeologico nazionale di Atene, 6613), con arti tubolari e torso triangolare, con vita sottile e testa con grandi occhi spalancati.[7]

      L'argilla fu largamente usata dai greci per le piccole statuette votive dipinte. Già comuni nell'epoca micenea, se ne trovano in abbondanza a partire dall'VIII secolo a.C. divenendo una delle produzioni costanti nel mondo greco, dove l'argilla era largamente reperibile. Le terrecotte del periodo geometrico e di quello immediatamente successivo, trovate nelle tombe e nei santuari, hanno le stesse forme schematizzate degli altri prodotti dello stesso periodo e mostrano scarsissima attenzione per gli elementi strutturali anatomici; per lo più modellate a mano, alcune hanno la testa ricavata da una matrice, o sono interamente eseguite a stampo; cavalli, cavalieri e uccelli sono i motivi prevalenti; talvolta servivano come anse sui coperchi dei vasi o come elementi decorativi per altri oggetti d'uso o votivi. Il capolavoro della plastica fittile proto-geometrica è una statuetta a forma di centauro, rinvenuta in una tomba, datata tra X e IX secolo a.C., di Xeropolis (Lefkandi) nell'isola di Eubea. Il corpo equino è un cilindro cavo orizzontale modellato al tornio e decorato con motivi geometrici dipinti. Si tratta di un centauro e probabilmente brandiva un ramo o un albero, l'arma tipica della specie. Potrebbe trattarsi di Chirone, il saggio precettore degli eroi (la mano destra del centauro ha sei dita, segno di saggezza nell'antichità); reca un taglio al ginocchio sinistro, una ferita subita in battaglia, o un rimando ad Eracle che nella leggenda ferisce per sbaglio al ginocchio Chirone.[8] Appartengono al periodo geometrico le figurine provenienti dalla Beozia con corpi a forma di campana, lunghi colli e teste appiattite: il corpo era modellato al tornio ma il resto della figura veniva plasmato a mano e le vesti potevano recare dipinti motivi ornamentali, uccelli o altri animali[9]. Altri esempi di piccola plastica in terracotta sono due teste fittili, un guerriero[10] e un personaggio femminile, provenienti da Amicle (Sparta) conservate nel Museo archeologico nazionale di Atene, che mostrano affinità con i bronzetti ateniesi e testimoniano dell'influenza artistica di Atene sul Peloponneso in questo periodo.

      In avorio furono realizzate quattro piccole figure femminili nude rinvenute in una tomba del Dipylon ad Atene (ora nel Museo archeologico nazionale), datate intorno alla metà dell'VIII secolo a.C. Traggono ispirazione da modelli orientali, ma il modellato morbido del corpo, la cura nella descrizione dei particolari, come le ciocche di capelli sulla schiena, sono innovazioni ateniesi[11].

      Le gemme greche servivano soprattutto come sigilli o marchi di identificazione e in epoca geometrica riflettono il carattere ancora primitivo di questa civiltà e la cesura per quanto riguarda i rapporti con la cultura micenea: rappresentazioni vivaci e naturalistiche nella glittica micenea lavorate al tornio su pietre dure, disegni lineari lavorati a mano sulla steatite tenera nelle gemme greche. La forma dei grani poteva essere conica, a cupola, angolare e arrotondata come in Siria, oppure a cilindro. Erano tutti perforati per essere portati sospesi a un filo. Solo durante l'VIII secolo a.C., cominciano ad apparire figure umane, animali o vegetali, ma sempre in forme schematizzate.[12]

      Relativamente pochi sono i pezzi di gioielleria appartenenti a questo periodo che sono stati trovati negli scavi dell'Attica, del Peloponneso e di altre località greche. Si tratta per lo più di strisce di metallo con elementi decorativi a sbalzo, fibule con motivi ornamentali incisi, spilloni e collane dotate di pendagli di forma elementare[13].

      Periodo orientalizzante (dedalico)

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      Lo stesso argomento in dettaglio: Scultura dedalica e Periodo orientalizzante.
      Perseo e la Gorgone, dettaglio di un pithos orientalizzante a rilievo (Tebe). Terracotta stampata e incisa, arte cicladica, metà del VII secolo a.C., h 151 cm. Parigi, Louvre CA795

      Con il termine orientalizzante si indica un periodo dell'arte greca, successivo a quello geometrico, caratterizzato da un intensificarsi dei rapporti con l'oriente e dell'influenza orientale, i quali si manifestano con l'importazione e la rielaborazione locale di oggetti, materiali e tecniche dalle quali scaturisce infine un nuovo corso dell'arte greca in ogni sua manifestazione, dalla toreutica alla ceramica. In questo secolo di grandi trasformazioni, il VII a.C., la scultura propriamente detta dedalica corrisponde all'ultima fase, quella che vede in Grecia la nascita dell'arte monumentale. Col dedalico si sostituiscono alle forme esuberanti del primo periodo orientalizzante, un sistema di proporzioni e una nuova concezione unitaria della forma.

      Plinio attribuisce al sicionio Butades l'invenzione del rilievo in terracotta; egli avrebbe per primo decorato con tali rilievi la terminazione delle tegole (Nat. hist., XXXV, 151); le prime antefisse in terracotta comparvero intorno al 650 a.C., decorate a rilievo e dipinte con protomi femminili, mentre metope e sime venivano dipinte. Decorazioni in terraccotta dipinta occuparono nella stessa epoca lo spazio triangolare dei frontoni, con lastre che nel secolo successivo inizieranno ad essere realizzate in pietra. Esempi di queste decorazioni plastiche e pittoriche sono le antefisse e le metope dipinte, opere di maestranze corinzie, provenienti dal Tempio di Apollo a Thermos e dal santuario di Calidone (entrambe in Etolia), ora al Museo archeologico nazionale di Atene, datate intorno al 630-620 a.C.

      In Beozia si continuarono a produrre statuine in terracotta: carri e cavalli, contadini e aratri. Alla fine dell'VIII secolo a.C. era comparsa la tecnica delle matrici, importata dall'oriente, e nel secolo seguente si assistette ad una vasta produzione di oggetti a stampo, in particolare a Gortyna (Creta) e a Corinto. Da Creta provengono numerose tavolette di terracotta (pinax) con immagini di guerrieri e divinità femminili; si trovano anche gruppi mitologici e tra i più noti è il pinax, rinvenuto nel tempio di Atena a Gortyna, rappresentante l'uccisione di Agamennone da parte di Clitennestra ed Egisto (seconda metà del VII secolo a.C., h 8 cm, al Museo archeologico di Iraklio): una scena rappresentata con grande efficacia drammatica attraverso la sapiente disposizione dei personaggi nello spazio.[14] Anche i pithoi presentano di frequente decorazioni figurate a rilievo.[15]

      Rappresentazioni a rilievo e protomi fuse venivano applicate sui grandi recipienti in bronzo e rilievi figurati su lamine metalliche ornavano i grandi donari nei santuari. Tipici esempi di arte orientalizzante sono gli scudi (circa 700 a.C.) trovati a Creta, decorati con rilievi a sbalzo di mostri e animali. Tra le armature rinvenute nei diversi santuari della Grecia appartiene a questo periodo il retro di un pettorale trovato ad Olimpia (chiamato Corazza Crow, seconda metà del VII secolo a.C., h 37 cm, Museo archeologico nazionale di Atene): reca incisioni di animali e mostri oltre a una scena di gruppo che è stata identificata come un incontro tra Zeus e Apollo.[16] Teste di grifone sono state rinvenute in modo diffuso: l'animale fantastico di origine orientale viene sottoposto in territorio greco alle leggi organiche cui vengono sottoposti cavalli e altri animali domestici; tra le varie serie gli esemplari argivi sembrano distinguersi per questa nitidezza e incisività formale.[17]

      L'influenza orientale si avverte anche nella produzione delle gemme incise; mentre nel Peloponneso si diffonde l'uso dei sigilli in avorio, nelle isole il revival miceneo conduce a forme più arrotondate e alle stesse tecniche micenee come la lavorazione al tornio delle pietre dure.[18] Sempre nella Grecia insulare e orientale sono frequenti le piastre d'oro e d'argento, probabili elementi appartenenti a collane o altri gioielli, decorate a sbalzo con immagini di centauri o con temi legati alla Potnia Theron. Frequenti nelle isole anche le rosette di elettro e argento finemente lavorate con al centro una testa di grifone, o altri elementi figurativi. Il tema del grifone torna negli orecchini provenienti da Rodi e da Milo.[19]

      Le botteghe dei santuari proseguono inoltre la produzione di piccole sculture in avorio, uno dei materiali importati dall'oriente insieme alla sua tecnica di lavorazione, che venivano spesso utilizzate come decorazione per oggetti e mobili.

      Scultura arcaica

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      Lo stesso argomento in dettaglio: Scultura greca arcaica.
      Il Moscoforo. Atene, Museo dell'Acropoli

      In quest'epoca la produzione più abbondante è quella dei kouroi ("ragazzi") e delle korai ("fanciulle"), figure umane giovanili, rispettivamente maschili e femminili, al culmine dello sviluppo intellettuale e fisico, non ancora toccato dalla decadenza. Le forme e le movenze del corpo sono semplificate e ridotte, le statue sono stanti (in piedi), spesso a grandezza naturale o quasi naturale, con una gamba avanzata (generalmente la sinistra) ad indicare il movimento, ma ancora irrigidite in posa ieratica e con il tipico sorriso arcaico. La nudità deriva probabilmente dalla consuetudine degli atleti di gareggiare nudi. Le statue potevano essere poste in un santuario, dono della comunità o di un privato alla divinità, potevano rappresentare il dio stesso, il dedicante, o soltanto un'immagine umana bella e perfetta; potevano essere poste in una tomba e potevano essere immagini del defunto benché spersonalizzate; anche i vecchi potevano avere nella loro sepoltura un kouros, ne abbiamo fonti epigrafiche[20].

      Venivano utilizzati il marmo pario o la pietra locale o, ancora, la terracotta: le tecniche di fusione del bronzo, infatti, non consentivano ancora la realizzazione di statue di grandi dimensioni. Le opere erano nella maggior parte dipinte, anche a colori vivaci, in contrasto con l'aspetto candido che hanno attualmente dopo la perdita dei pigmenti e che ha formato l'estetica neoclassica.

      Della scultura arcaica si è soliti distinguere alcune correnti in rapporto alle varie zone della Grecia antica: la dorica, l'attica e la ionica. La prima che scolpisce corpi massicci, simmetrici, schematizzati, a volte tozzi, la seconda più slanciata ed elegante, che si qualifica per una maggiore attenzione alla linea e alle vibrazioni luministiche, la terza che infine sintetizza le due precedenti ricerche stilistiche, esprimendo un naturalismo intento a mettere in rapporto la statua con lo spazio circostante.

      Un aspetto importante della scultura arcaica consiste nello sviluppo della decorazione architettonica che riguarda frontonimetope e fregi e che procede di pari passo con i progressi effettuati dalla civiltà greca nell'ambito dell'architettura religiosa. Un altro grande ambito produttivo e particolarmente collegato agli aspetti sociali e politici del momento è quello delle stele funerarie, costituito da lastre decorate a rilievo o colonne sormontate da figure simboliche come le sfingi o da più semplici palmette. Alcuni dei nomi dei grandi scultori del periodo ci sono stati tramandati dalle fonti o ci hanno lasciato le loro firme sulle basi delle loro opere. Dalla Ionia e dalle Cicladi giungono i nomi di Geneleos di Samo e Archermos di Chio, a Rhoikos e Teodoro, scultori e architetti, la tradizione assegna l'introduzione nella bronzistica greca della tecnica a cera persa. Figura di collegamento tra la Grecia orientale e l'Attica è Aristion di Paros, mentre scultori pienamente attici furono Endoios e Antenore.

      Periodo severo

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      Bronzi di Riace
      Lo stesso argomento in dettaglio: Stile severo.

      Verso la fine del VI secolo a.C. si diffonde a partire dal Peloponneso uno stile che anticipa quello del periodo detto classico, e che viene definito severo o protoclassico. Esso contempla, tra l'altro, il definitivo superamento della tradizione arcaica secondo la quale il volto era costantemente atteggiato in un sorriso; grazie agli avanzamenti nella conoscenza della struttura anatomica umana, la testa diveniva tendenzialmente sferica, il volto tondeggiante e, di conseguenza, gli occhi e la bocca trovavano le giuste proporzioni e collocazioni. Diveniva possibile a partire dalle nuove possibilità tecniche atteggiare i volti all'espressione richiesta, avvicinando, anche in questo senso, la scultura ad una rappresentazione maggiormente naturalistica. La massa muscolare si distribuiva armoniosamente nella struttura corporea, spalle e busto si allargavano e si arrotondavano accrescendo la sensazione della potenza muscolare. L'arcata epigastrica si rilevava ad arco di cerchio, si assottigliavano le ginocchia e si slanciava l'insieme della figura.

      Il materiale più usato per le sculture di questo periodo fu il bronzo, che implicava l'impiego di una tecnica adatta all'attitudine sperimentale dei maestri protoclassici. Le figure venivano prima modellate in argilla, concedendo una libera creazione e manipolazione dell'opera, poi venivano rivestite con uno strato di cera; quest'ultimo veniva nuovamente ricoperto di argilla per creare lo stampo dove poi andava colato il bronzo fuso (tecnica di fusione a cera persa).

      I grandi bronzi del periodo severo sopravvissuti alla distruzione per il reimpiego del materiale sono: l'Auriga di Delfi, la testa proveniente da Cipro, già appartenente al Duca di Devonshire, e nota come Apollo Chatsworth, il Cronide, ritrovato in mare presso il Capo Artemision[21] e almeno uno dei noti Bronzi di Riace. Sempre in bronzo, ma note solo tramite copie marmoree di età romana, erano le opere di Mirone quali il Discobolo e l'Athena e Marsia[22], che esemplificano gli esperimenti e le ricerche legate al movimento della figura, che acquisiva in questi anni l'aspetto di un movimento congelato nel tempo: si vedano anche il gruppo dei Tirannicidi, i frontoni di Egina e il frontone occidentale del tempio di Zeus a Olimpia.

      Periodo classico e tardo classico

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      Doriforo. Copia di epoca romana da originale bronzeo della metà del V secolo a.C. attribuito a Policleto. Napoli, Museo archeologico nazionale 6011.
      Lo stesso argomento in dettaglio: Scultura greca classica.

      L'immagine della scultura del periodo classico che emerge alla metà del V secolo a.C. è esemplificata dalla decorazione scultorea del Partenone e dalle sculture di Policleto. La conoscenza dell'anatomia del corpo e la competenza tecnica permettono ormai agli scultori, che conosciamo quasi tutti per nome, di raffigurare dei ed eroi in pose più naturali e variate rispetto ai periodi precedenti. La maestria tecnica fa della scultura del V secolo la vetta più alta dell'estetica classica, che proseguirà nel secolo successivo, fino all'apertura verso nuove problematiche da parte di Lisippo.

      Policleto, del quale possediamo solo copie, fissa in un trattato, anch'esso perduto, intitolato Kanon (canone), una regola per le proporzioni armoniose delle varie parti del corpo (DoriforoDiadumeno).

      Inizia la costruzione delle statue di culto monumentali e crisoelefantine, ossia rivestite di oro ed avorio, come la statua di Zeus a Olimpia (una delle sette meraviglie del mondo) nell'omonimo tempio o quella di Atena Parthenos nel Partenone, entrambe eseguite da Fidia. Nelle celebri sculture del Partenone l'artista crea un vero e proprio poema epico, tutte le parti hanno un chiaro nesso tematico e una continuità plastica senza precedenti. Dall'umanità contemporanea della processione, nel fregio ionico, all'umanità eroica del mito nelle metope, alla divinità nei frontoni. Il culmine è raggiunto proprio nelle divinità raffigurate sul frontone orientale che hanno vesti con fitto e ricco panneggio reso in modo estremamente naturalistico ("panneggio bagnato").

      Dopo Fidia e il periodo postifidiaco, all'interno del quale si comprendono gli allievi e collaboratori di Fidia quali AlcameneAgoracrito e Cresila, oltre ad altri artisti educati in ambiente differente come DemetrioCallimaco e Peonio di Mende, si verifica un periodo di transizione esemplificato da figure come Cefisodoto il Vecchio, scultore di grande rilievo che si ritiene generalmente padre di Prassitele, e Timoteo.

      Durante il periodo tardo classico (380-325 a.C.), la perdita di potere e ricchezza seguita alla sconfitta nella guerra del Peloponneso, non impedì ad Atene di continuare ad essere un importante centro culturale e artistico. Gli artisti tuttavia divengono in questo periodo grandi viaggiatori, chiamati dai poteri pubblici di piccole cittadine in crescita economica, o da ricchi cittadini privati. Lo scultore da sempre più acclamato del IV secolo a.C. è Prassitele e al suo fianco si pone Lisippo, l'artista preferito di Alessandro Magno, fautore di importanti innovazioni nel sistema proporzionale e nel rapporto tra la figura e lo spazio, che portarono alla rottura definitiva con l'arte classica e impostarono le nuove problematiche intraprese dall'arte ellenistica. Con Lisippo le proporzioni dei corpi si allungano e affinano e la naturalezza delle posizioni si accentua. Altri scultori importanti del periodo furono SkopasBriassideLeocare, grande scultore e bronzista che lavorò per Filippo II e per la dinastia macedone. Il più importante monumento del IV secolo a.C. fu senza dubbio il Mausoleo di Alicarnasso, ma nello sviluppo della scultura greca ebbero uguale importanza il tempio di Asclepio a Epidauro e il tempio di Atena Alea a Tegea.

      Periodo ellenistico

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      Lo stesso argomento in dettaglio: Scultura ellenistica.
      Torso Belvedere. Museo Pio-Clementino 1192.

      La scultura del periodo ellenistico si distingue dal periodo precedente nelle sue manifestazioni più creative con un deciso rinnovamento formale, tematico e contenutistico. Essa non è più riservata a templi e santuari o a celebrazioni pubbliche, ma entra anche in ambito privato, come ricca e prestigiosa decorazione, si vedano ad esempio i ritrovamenti nelle case private di Delo. Viene ricercata la novità nei soggetti e si attinge a raffigurazioni realistiche o di vita quotidiana (la vecchia ubriaca, il fanciullo che gioca con l'oca), trattate con abilità tecnica consumata e rese virtuosistiche dei panneggi.

      La scultura propriamente ellenistica si data dal secondo decennio del III secolo a.C., mentre i decenni precedenti, a partire dalla morte di Alessandro Magno sono dominati dai seguaci e dalle scuole di Skopas, Lisippo e Prassitele.[23] Gli allievi di Lisippo in particolare portando avanti la nuova estetica del maestro ebbero grande importanza per l'elaborazione degli aspetti più innovativi della scultura dei nuovi centri artistici; tra le figure più importanti in questo ambito troviamo Eutichide e Carete di Lindo. La fase del medio ellenismo, dalla metà del III secolo a.C. alla metà del II, vede il sorgere dei nuovi centri di elaborazione culturale: RodiAlessandria e Pergamo. Quest'ultimo in particolare si caratterizza per la propaganda politica degli Attalidi, attuata attraverso il lavoro di artisti, filosofi e scienziati attratti alla corte pergamena. Tra i nomi più noti del periodo troviamo Epigono a Pergamo e Damofonte ad Atene. L'ultimo periodo ellenistico, dalla metà del I secolo a.C. all'epoca di Augusto, vede l'affermarsi del classicismo, chiamato talvolta neoatticismo, e del neoellenismo, con la riproposizione, talvolta rielaborazione, di opere del periodo classico e delle precedenti fasi ellenistiche, soprattutto in seguito alla domanda proveniente da committenti romani. Uno dei più noti classicisti è Pasitele.

      L'abilità tecnica raggiunta viene sfruttata fino ad esiti stilistici caratterizzati da pose tormentate, complesse, e composizioni virtuosistiche, quali il celebre Laocoonte e il noto torso del Belvedere dei Musei Vaticani. Sono queste opere, quelle delle ultime fasi ellenistiche, che saranno ammirate e studiate nel Rinascimento e alle quali si ispirerà Michelangelo. Anche le espressioni dei volti si fanno passionali e tormentate e si hanno con quelli dei sovrani ellenistici, i primi ritratti.

Cera persa

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1. modello in cera
2. creazione di uno stampo
La Statua di Bassetki, in rame, prodotta con la tecnica della cera persa, contiene il testo che riferisce della divinizzazione del sovrano accadico Naram-Sin

La fusione a cera persa è una tecnica scultorea diffusa già nel III millennio a.C., di cui fu maestra l'Antica Civiltà Sarda, e che nei secoli successivi ha conosciuto una notevole fioritura, soprattutto nella scultura greca e romana.

Gli orefici precolombiani, la cui tecnica raggiunse il massimo sviluppo della manifattura dell'oro nella regione «che oggi corrisponde alla Colombia e alla repubblica di Panama», sapevano « trafilare, laminare, dorare il rame, lavorare a sbalzo, fondere le forme, anche con la tecnica della cera perduta, (...)». La manifattura precolombiana dell'oro è stata fatta risalire all'incirca al secondo secolo della nostra era da Max Uhle, tenendo presente comunque che questa datazione rimane a titolo di indicazione.[1]

La civiltà di Dongson[2], sorta nel Tonchino e a nord dell'Annam, che donò ai popoli dell'Indonesia l'uso del bronzo e del ferro, riguardo alla fabbricazione di oggetti di bronzo usavano la tecnica chiamata a cera perduta. Questa «consiste nel modellare in cera o grasso l'oggetto su una base (anima) di creta. Il tutto viene poi ricoperto da uno spesso strato di creta, nel quale si praticano alcuni fori, che servono per l'introduzione del piombo fuso. Quando la creta è secca la si indurisce al fuoco (...) la cera o il grasso si liquefanno e vengono eliminati», si cola il bronzo attraverso gli appositi fori. Quando tutto è raffreddato «si staccano l'anima e l'involucro esterno di creta» restando così l'oggetto di bronzo.[3]

Esistono due modi di servirsi di questa tecnica:

  • Modo indiretto - Consiste nel creare un modello di cera e utilizzarlo per farne uno stampo di argilla. Praticando due fori sullo stampo, uno in alto e uno in basso si fa uscire la cera scaldandola e si versa del bronzo fuso al suo posto. Se ne ricava un modello identico a quello di cera.
  • Modo diretto - Assomiglia al primo metodo, ma il modello di cera è realizzato su di un altro in creta in modo che la statua finale sia vuota all'interno (o meglio, contenga solamente argilla per limitare il peso e la quantità di metallo usata).

La fusione a cera persa nella statuaria

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Storia della tecnica a cera persa

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La fusione a cera persa è una tecnica che era conosciuta fin dall'antichità. Tra gli esempi antichi meglio conservati ci sono i Bronzi di Riace. In Sardegna rimangono solo gli stampi utilizzati per la produzione delle grandi statue in bronzo, stampi oggi noti come Giganti di Mont'e Prama. Delle statue ottenute con quegli stampi non esiste più traccia, forse fuse dai romani, insieme a gran parte della produzione bronzea dell'antica civiltà sarda[4]. L'utilizzo di questa tecnica si ridusse nel medioevo, probabilmente perché molto costosa. Tuttavia, ne rimangono esempi eclatanti come la porta in bronzo della chiesa di San Zeno a Verona del 1100 circa, opera di straordinaria bellezza e tecnica fusoria. La fusione in bronzo fu utilizzata anche per la realizzazione delle campane medioevali.

Fusioni in bronzo di piccoli oggetti sono state sempre praticate, ma si trattava comunque di opere "piene", impensabili su grandi dimensioni. Con il Rinascimento, nel quadro del recupero di tutti gli aspetti della civiltà classica, la tecnica venne ripresa. La prima statua di grandi dimensioni fusa con la tecnica della cera persa in epoca moderna è il San Giovanni Battista di Lorenzo Ghiberti (1412-1416), che venne prudentemente fatta in più pezzi separati, assemblati in un secondo momento. La tecnica del bronzo aveva innegabili vantaggi rispetto alla pietra, poiché la maggiore coesione del materiale permetteva un atteggiarsi più libero nello spazio dei soggetti senza timori di fratture, ottenendo risultati di maggiore naturalezza e vivacità.

La tecnica usata è descritta in vari trattati. Per il Rinascimento è una dettagliata testimonianza il Trattato della scultura di Benvenuto Cellini.

La tecnica a cera persa

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La prima fase consiste nel determinare più punti fissi nel bozzetto e nel calcolare la scala dell'ingrandimento a seconda delle dimensioni di cui si vuole la statua. Si procede poi con la costruzione dell'anima della struttura: un telaio in ferro dimensionato alla scala scelta costruito mediante la saldatura di diversi tubi. Poi si riportano gli stessi punti scelti nel bozzetto sul telaio e lo si copre con una rete metallica.

Nella seconda fase, si ricopre di creta la rete metallica cominciando a dar forma e proporzioni all’opera. Con la collaborazione dell’artista, vengono corretti eventuali errori di proporzione.

La terza fase prevede di dar forma alla scultura definitiva curandone i dettagli.

Una volta avuto il consenso dell’artista e dell’ente committente, si procede alla fase degli stampi. Si determina quindi in quanti pezzi verrà suddivisa la statua in creta per poi procedere a fare lo stampo di ogni pezzo. Si ricopre la creta di uno strato di gomma al silicone per far in modo che venga ben letta la “texture”. Si ricopre quindi la gomma con uno strato di gesso armato con tubi di ferro. Finito lo stampo dell’opera si apre tutto, la gomma viene lavata e si procede quindi a spalmare sulla gomma uno strato di cera di 3–4 mm di spessore. Le cere vengono quindi viste dall’artista per eventuali ritocchi. Si collegano alla cera dei canali anch’essi di cera per far arrivare il metallo in tutti i punti determinati. Si copre la cera con una terra refrattaria e si costruisce quindi una forma. La forma viene messa in forno a 520° per un tempo di 4-5 giorni per fare in modo che con il calore la cera si sciolga lasciando un'intercapedine che verrà poi riempita dal bronzo fuso.

Una volta tornate a temperatura ambiente, le forme vengono inserite in una buca e compresse con una terra da fonderia per evitare che la pressione del bronzo le possa rompere. Con l’ausilio di un crogiolo viene versato il bronzo liquido nelle forme; quando tutto si è raffreddato le forme vengono tolte dalla buca e aperte. Si ottiene quindi un manufatto grezzo che viene sabbiato e poi lavorato con l’aiuto di macchine utensili. Si procede quindi all’assemblaggio dell’opera e alla rifinitura della stessa. Viene poi sabbiato nuovamente il manufatto intero per poi procedere alla patinatura secondo l’esigenza e su richiesta del committente. La patinatura viene eseguita tramite ossidazione; a seconda del colore scelto l’opera viene trattata con determinati ossidi. Le ricette per l’esecuzione sono “segreti di fonderia”. Alla statua viene applicato uno strato di cera a protezione della patina. La durevolezza nel tempo della patina è determinata dagli agenti atmosferici, ed è quindi non calcolabile.

Il David di Donatello

Avvenuto il getto e atteso il raffreddamento (uno o due giorni), la statua viene rialzata e liberata dalla cappa e dalla tonaca, e si presenta come irta di tubi in bronzo (dagli sfiatatoi) e chiodi. Per evitare il pericolo di dilatazioni, l'anima in terracotta viene estratta, di solito dal fondo, oppure da apposite aperture che poi devono essere otturate. Eventuali parti rimaste incompiute vanno gettate di nuovo e saldate.

Dopo l'eliminazione dei chiodi la statua può apparire, a seconda della lega usata, anche molto grezza, per cui si può rendere necessaria una lunga opera di "rinettatura", che comprende la levigazione delle superfici (limatura e lucidatura), l'integrazione delle lacune e l'eliminazione dei difetti di fusione (con l'inserzione dei cosiddetti tasselli), la rifinitura dei dettagli (spesso col bulino e col cesello) e l'eliminazione di tutte le imperfezioni.

In alcuni casi è prevista un'operazione finale di patinatura o doratura, che avviene essenzialmente applicando un sottile strato di un amalgama di mercurio e oro. Riscaldando poi il pezzo il mercurio evapora, lasciando l'oro depositato.

La lega di bronzo è ottenuta solitamente da rame e stagno, le cui rispettive percentuali influenzavano le modalità esecutive e la resa. Il rame era di facile reperimento, malleabile e lavorabile a freddo, ma poco fluido allo stato fuso. Lo stagno era invece fragile, poco malleabile e fluidissimo quando liquido. Una maggiore percentuale di stagno rendeva quindi la lega più fluida e meno malleabile.

In epoca romanica si usavano di solito leghe abbondanti di stagno, che fluivano facilmente riempiendo le intercapedini e riproducendo fedelmente il modellato morbido della cera, senza bisogno di rilavorazioni a freddo.

Nel Rinascimento la percentuale di stagno era generalmente bassa, per cui i getti risultavano spesso poco fedeli al modello e difettosi per via della difficoltà di scorrimento della lega fusa. Per esempio Lorenzo Ghiberti alla rinettatura delle porte bronzee del Battistero di Firenze dedicò rispettivamente 22 e 23 anni ciascuna con una schiera di assistenti, mentre la pulitura del Perseo di Cellini ne richiese cinque. Il risultato finale era simile a quello delle oreficerie, con profili taglienti e dettagli incisi graficamente.

Altre applicazioni

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La fusione a cera persa in gioielleria

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Il metodo di fusione a cera persa viene tuttora utilizzato nel settore della gioielleria (ma anche nel settore odontotecnico): una riproduzione del gioiello viene realizzata in cera (a mano o mediante apposite macchine a stereolitografia). In seguito vengono aggiunti i canali di entrata/uscita (sempre in cera) e viene realizzato lo stampo in gesso appositamente studiato per questa operazione. Per favorire la perfetta adesione del gesso alle cere e l'eliminazione delle bolle d'aria, il cilindro pieno può essere collocato su un piatto vibrante e quindi sottoposto all'azione del vuoto sotto una campana collegata a una pompa. Questo stampo (che di solito per contenere i costi del gesso, contiene molti oggetti, disposti a "grappolo" intorno a un canale centrale) viene riscaldato in un forno, in modo che la cera (per questa operazione in genere si porta il forno a 200 °C circa) esca dai canali, una volta uscita la cera è possibile colare all'interno dello stampo il metallo fuso. È importante scaldare lo stampo in gesso al fine di evitare che il metallo schizzi fuori da esso.

Dopo che il metallo colato all'interno dello stampo si è solidificato viene rotto il gesso e vengono separati i vari oggetti dal canale centrale tramite l'ausilio di una tronchese o di un seghetto da orafo, vengono inoltre eliminati i canali di entrata/uscita. I gioielli a questo punto possono essere rifiniti tramite lucidatura o altre lavorazioni fino ad ottenere il gioiello finale.

La fusione a cera persa in campo odontoiatrico

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Il metodo di fusione a cera persa in campo odontoiatrico viene usata per riprodurre in metallo una protesi dentaria modellata in cera. La riproduzione della protesi avviene con un sistema più o meno complesso: si prende il modellato in cera al quale si applicano le spine e le barre di fusione nella parte più spessa del modellato.

Finita questa fase si fissa il modellato (con le sue relative spine) alla base del cono di colata. Poi si prende il cilindro con l'aiuto della cera, si fissa un foglio di carta cuscinetto per aiutare l'espansione del rivestimento che verrà colato in seguito. A questo punto si unisce il cilindro alla base cercando di non distruggere l'operato in cera, poi si prepara il materiale da rivestimento (o refrattario) e, dopo averlo mescolato in sottovuoto, si cola all'interno del cilindro di fusione. In attesa della solidificazione del materiale da rivestimento si porta un forno alla temperatura finale di circa 800/900 °C.

Quando il forno è arrivato a temperatura si inserisce il cilindro e lo si lascia scaldare fino a che la cera al suo interno non è sublimata. Dopo la definitiva fusione della cera si passa a mettere il cilindro, tramite apposite pinze, nella centrifuga. Nella centrifuga si avranno dei pezzetti del metallo prescelto che verranno fusi a una distanza molto vicina al cilindro. Alla completa fusione del metallo si avvia la centrifuga e si attende che il metallo (che è entrato per via della forza centrifuga) si raffreddi. Alla fine si rompe il cilindro di materiale refrattario e si passa alla sabbiatura, alla lucidatura e alla resinatura e ceramicatura dell'ormai protesi in metallo.

La fusione a cera persa in campo industriale

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La fusione a cera persa in campo industriale viene usata per riprodurre in metallo svariate tipologie di prodotti. La tecnica è usata per componenti meccanici nel settore automotive, aero-spaziale, nucleare, arredamento, nautica etc...

Il processo di fusione a cera persa, chiamato anche comunemente processo di microfusione, consiste di diversi passaggi che si possono raggruppare in 3 macro aree.

  • Stampaggio delle cere
  • Creazione del guscio ceramico
  • Colata del metallo fuso all'interno del guscio.

Oggi con l'introduzione dei robot manipolatori si possono produrre oggetti che possono arrivare fino a 100 kg di peso e oltre. I metalli più comunemente utilizzati nel processo di fusione a cera persa in ambito industriale sono le leghe di acciaio, di nichel, alluminio e bronzo. Grazie alla precisione dimensionale e alla versatilità del processo molto spesso questa tecnologia si rivela vincente rispetto ad altri processi in termini di qualità e risparmio sui costi di lavorazione.